Santa Croce di Firenze, i Fraticelli
di Cortona e i dodici vescovi

Santa Croce di Firenze venne progettata nella forma attuale l’ultimo decennio del duecento su iniziativa di fra Giovenale degli Agli che qui ebbe la sua sepoltura.
All’epoca della costruzione nacquero tuttavia aspre polemiche tra i francescani. Di notte uno di loro vide in sogno fra Giovenale che gli fece sapere quanto soffrisse nell’aldilà per avere fatto edificare quell’opera che il mondo ammirava ma che non rispondeva alla regola del santo fondatore e al precetto della povertà. Due martelli lo colpivano alternativamente sulla testa e gli avrebbero inflitto tale pena fino al giorno del giudizio.
Non estraneo al sogno del frate era anche il cruccio di coscienza che nell’Ordine aveva dato origine a due opposte correnti, una delle quali era il movimento pauperistico detto dei “Fraticelli”.
Tale corrente era allora molto attiva e subiva fortunose vicende di aspetto squisitamente politico essendosi legata ai ghibellini contro la potenza del papato. Anche se sarebbe troppo lungo scriverne, per dirne qualcosa di ‘semplice’, si può ricordare il teologo fra Ubertino da Casale († 1330 ca) che più volte con la parola e lo scritto si scagliò in invettive contro la vita sfarzosa degli ecclesiastici e i frati questuanti che facevano pompa di un’apparente povertà per poi ‘nuotare’ nell’abbondanza.
Nel 1311, poi, portate le dispute al concilio di Vienne in Francia, si giunse a una moderazione con l’invito a tutti gli assertori della povertà assoluta francescana di rimettersi ai superiori dell’Ordine.
Salito però al soglio pontificio Giovanni XXII, “lupo rapace”, come lo definirono gli stessi Fraticelli, il 30 dicembre 1317 fu messa la pietra tombale sulla tolleranza con la bolla “Sancta Romana”, che colpì tutti gli irregolari francescani operanti fuori della gerarchia.
Da allora i contrasti si fecero più aspri, aumentando la precarietà e la tristezza di quei tempi di conflitti senza fine. Oggi, tuttavia, guardando a ciò che resta, ci sentiamo di condividere l’opinione del Davidsohn (Storia di Firenze) quando scrisse: ... “sono passati sei secoli e noi possiamo, in base appunto alle accuse di Ubertino da Casale, salvare la fama dei frati minori che egli allora attaccò e che invece essi meritano per avere dato impulso alla superba costruzione ...”: Santa Croce di Firenze.

Nel 1318 anche a Cortona i Fraticelli lasciarono la loro dimora dopo la bolla papale, come ricorda una pergamena scritta nel novembre.
Siamo nel palazzo vescovile di Arezzo “ad solitum banchum iuris” con il notaio Taviano di Guittone che motiva un provvedimento ecclesiastico in questa città perché: “Notum appareat inspectoris quod vacante ecclesia sancti Angeli da le Celle Guilielmesche” – appare noto agli ispettori come, essendo vuota la chiesa di Santo Angelo dalle Celle Guglielmesche – e prosegue –, nella quale si erano rifugiati in abito religioso i “Fraticelli vulgariter vocabantur”, ora revocati e cassati da “domino Iohanne papa”.
Quindi fa sapere come (“nos”) Giovanni da Casole pievano di Murlo (diocesi di Siena) vicario generale del vescovo di Arezzo (dal quale dipendeva la chiesa cortonese), con il consenso di prete Felice rettore di San Basilio “vero patrono” di Sant’Angelo, ritenesse la chiesa di pertinenza di prete Innocenzo di Freduccio da Bacialla e gli affidasse cura, amministrazione, governo e corporale possessione dei beni.
Prete Innocenzo, tenendo le sue mani in “manibus nostris” (del vicario), giurò e promise al vescovo reverenza e obbedienza “tanquam suo domino et prelato maiori”, testimoni Pietro chierico di Nicoluccio da Cortona, ser Simone di Andrea da Perugia, Angelo di Bolgaruccio da Cortona e prete Pace cappellano di San Filippo di Arezzo.
Le Celle sono rimaste un bell’eremo francescano. In una pergamena del 1301 San Michele arcangelo era detto “olim fratris Elia” – un tempo di frate Elia –, il compagno di San Francesco deceduto proprio a Cortona nel 1253.

Che questa bella città avesse una sua importanza nelle vicende italiche del tempo, è dimostrato anche all’inizio di quello stesso 1318, quando dodici prelati tra patriarchi, arcivescovi e vescovi concessero un’indulgenza alla sua chiesa di San Basilio nella quale dal 1297 riposava il corpo di Santa Margherita “bone ac reverente memorie”, “fama laudabilis et miracolorum multum”. L’intento era di rafforzare vari aiuti precedenti per l’ingrandimento dell’edificio, evidentemente rimasti poco efficaci.
Dunque, ai fedeli che avrebbero visitato la chiesa in certe particolari feste, adempiendo ai soliti precetti di penitenza e confessione, i prelati concedevano tante quarantene quanti erano loro di numero.
Ciò valeva anche per chi era presente quando il pievano portava l’Eucarestia agli infermi, per chi avesse recitato le orazioni dei defunti presso il cimitero intorno alla chiesa e per chi avesse fornito elemosine per un acquisire il calice, la casula o altri “ornamenti”.
La pergamena, scritta ad Avignone, fa sapere anche che l’istanza all’indulgenza era stata presentata da maestro Accorso fisico dottore (medico) di Cambio da Cortona e dai fratelli cardinali Giovanni († 1339) e Napoleone († 1342) Gaetani Orsini.
I dodici presuli vi sono ricordati uno per uno, tutti di provenienza e storia diversissima, tanto che non si fa fatica a immaginare la variegata corte del papa in Francia. Erano:
– “Frater Ysennardus” patriarca di Antiochia (Isnardo Tacconi dei frati predicatori, 1311-1329); – “Janillaus arch. Gnezensis” (Ianislaw arcivescovo di Gniezno in Polonia, 1317-1341);
– “frater Rostanus arch. neopatensis” (Rostaing de Candole dei frati predicatori, arcivescovo di Lepanto 1307- post 1327);
– “Remondindus (sic) arch. adrianopolitanus” (arcivescovo di Edirne in Turchia); – “frater Petrus ep. Narniensis” (vescovo di Narni);
– “Berrengarius ep. carpentoracensis” (Berenger de Mazan vescovo di Carpentras in Francia 1294- † 1318);
– “ frater Andreas croensis ep. (vescovo di Croia in Albania, † dopo 1334);
– “frater Iacobus ep. de Cabano” (vescovo di Chabanne in Francia);
– “frater Guilhelmus ep. cunaviensis” (Gugliemo da Montenegro vescovo di Cunavia in Albania);
– “frater Guilhelmus ep. apud Tartaros (vescovo delle missioni dei frati minori fra i tartari, iniziate nel 1318);
– “frater Petrus ep. athilonensis (forse vescovo forse di Attalea di Pamfilia in Turchia);
– “frater Ieronimus ep. carvernensis” (vescovo di Caffa in Crimea sul Mar Nero).

Cortona in questo periodo si stava lasciando alle spalle il dominio del vescovo di Arezzo. Accolse Enrico VII nel settembre 1312 chiedendo di ritornare sotto giurisdizione imperiale, ma rimase dipendente dal presule – il ghibellino Guido Tarlati da Pietramala († 1327) – fino al 1325 quando Giovanni XXII lo scomunicò e concesse alla città la sede vescovile.

Di questi eventi e del loro sviluppo abbiamo le cronache e le carte, come quelle citate. La bolla mostra nella grafica e nel suo fiorito inizio anche un poco della ‘grande bellezza’ del secolo (v. la foto del frontespizio).

Paola Ircani Menichini, 21 gennaio 2022.
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